Ogni qual volta devo dichiarare il "reddito lordo famigliare" lo faccio con apprensione, temendo di incorrere in qualche errore, involontario ma sanzionabile da un sistema che premia i furbi e penalizza gli ingenuamente onesti, e di superare senza accorgermi i limiti previsti.
Molti anni fa ritenevo 70 milioni di lire una cifra del tutto irraggiungibile, ma col passare del tempo, mentre il tenore di vita diminuiva, l'importo delle nostre pensioni aumentava avvicinandoci sempre più agli equivalenti 36151,98 euro. Non credo che gli aumenti della pensione siano tali da pareggiare l'inflazione, ma prima o poi ci faranno superare la soglia oltre la quale si veniva (a ragione?) e si viene (a torto) considerati ricchi. I limiti sono iniqui se comportano grosse disparità di trattamento con minime differenze di reddito, se non sono aggiornati al valore corrente, se non considerano l'effetto delle imposte sul netto spendibile, se si riferiscono alla somma dei redditi senza tenere conto della somma delle spese. Anche se fossero stati equi, i limiti fissati nel secolo scorso non possono esserlo ora: dopo 15 anni con inflazione all'1%, 2% o 3% dovrebbero essere rivalutati del 16%, 35% o 55%. Ma i nostri governanti, sempre pronti ad adeguare le loro indennità all'aumentato costo della vita, non si sognano nemmeno di rivederli.
E' vero che la costituzione recita "Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.", ma io pensavo che la progressività fosse in relazione con l'aumento del reddito e non con il semplice passare del tempo, credevo che la tassazione dovesse aumentare con la capacità contributiva e non col numero degli anni.
"La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.
La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge."
Sembra che per qualcuno la Costituzione della Repubblica Italiana sia sacrosanta quando fa comodo e tranquillamente ignorata altrimenti.
Non dovrebbe scandalizzare se le "garanzie stabilite dalla legge" vengono riviste quando si pensa che garantiscano troppo poco, quando le limitazioni all'inviolabilità delle comunicazioni sono molte di più che negli altri Paesi democratici.
Se è vero che senza intercettazioni si bloccano le indagini, mi è chiaro perchè così tanti reati restano inpuniti: basta non parlarne al telefono. Niente telefonate, niente intercettazioni, niente indagini, niente condanne.
Si può anche uccidere impunemente la suocera, purchè non lo si telefoni a nessuno. Forse i delinquenti abituali lo sanno.
Non è raro sentire gli insegnanti italiani dire, lamentandosene, che il loro stipendio è inferiore alla media europea. La stessa cosa ha detto la ministra dell'Istruzione. Se lo dicono sarà senz'altro vero, ma siccome il loro stipendio è pagato con le imposte versate dagli italiani e principalmente dai lavoratori dipendenti, mi pare che il confronto vada fatto con gli stipendi di questi e non con quelli degli stranieri. Fintanto che i lavoratori privati italiani guadagnano meno della media europea, non ha senso pretendere l'equiparazione solo per i dipendenti pubblici. In ogni caso il raffronto dovrebbe essere fatto non in termini assoluti ma relativi (es: stipendio degli insegnanti/salario degli operai) e sempre confrontando dati omogenei.
Altro parametro dovrebbe essere l'efficienza della prestazione, ma ipotizzando che tutti i lavoratori facciano al meglio il loro dovere si dovrebbe almeno considerare il tempo dedicato al lavoro e confrontare costi e guadagni per ora effettuata. Se sono equivalenti, non ci si può lamentare del troppo lavoro se si vuole guadagnare di più né del poco guadagno se si vuole lavorare di meno.
L'istruzione è importante ed è giusto che gli insegnanti abbiano stipendi adeguati: adeguati a quelli europei ma anche al loro impegno e alle possibilità dei contribuenti.
Non è detto che chi più si lamenta stia peggio, può essere che abbia solo più tempo per farlo.
Chissà perché si ostinano a pronunciare i cognomi veneti terminanti in "an", "on", "in" come se fossero nomi inglesi con l'accento tonico sulla prima sillaba. Ora si riparla della legge Mèrlin come sempre si parla di Bènetton o di Bàllan. Il fatto che sia caduta la vocale finale non comporta lo spostamento dell'accento: un trevisàno (o trevigiano) è trevisàn, un trentìno è trentìn, un balcòne è balcòn. Allo stesso modo si avrà Marangòn (=falegname), Furlàn (=friulano), Favrin(=piccolo fabbro) e le varianti dei cognomi con accrescitivi o dimnuitivi (es: da Francesco si potranno avere i Francescòn e i Franceschìn) oltre ai Maculàn, Cumàn, Bassàn o anche Sartòr, Trevisiòl ecc. E' chiedere troppo volere considerare italiani anche i veneti e pronunciare i loro cognomi come si pronunciano in italiano, esclusa la vocale finale?
Nessun commento:
Posta un commento